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L’ARCANO MONDO DELLA FIABA

 

Come avviene per tante altre culture, anche le fiabe armene hanno radici lontane. Per secoli sono state tramandate principalmente per via orale. In famiglia, narrate dalle metz mayrik, le nonne, quando la famiglia si riuniva, nelle lunghe notti invernali, attorno al tepore del tonir1, o nei luoghi di ritrovo nei villaggi, dove approdavano rapsodi itineranti, gli ashugh, che accompagnavano le loro narrazioni con canti e brani musicali.2

Tra i più antichi autori di fiabe, si annoverano Vardan Aygektsi, che nel 1220 iniziò a scrivere la raccolta nota come Il Libro delle Volpi, e Mekhitar Kosc, mente poliedrica, operante nella prima metà del XII sec., autore di brevi racconti fantastici, ricchi di humor e vere perle di saggezza popolare.

La trascrizione sistematica di questo antico patrimonio culturale iniziò a metà Ottocento, soprattutto con Hovannes Tumanian che fu autore di fiabe egli stesso, oltre che di racconti, poemi epici, ballate e saggi. Altra raccolta fondamentale, molto più recente, è quella curata da Artashes Nazinian, intitolata Fiabe popolari armene, e pubblicata a Erevan nel 1956.

Attualmente in Italia abbiamo ben tre raccolte tradotte nella nostra lingua: un patrimonio considerevole, che ci consente di svolgerne un esame sufficientemente chiaro.3

Pur presentando alcuni degli elementi basilari tipici nelle fiabe di molti paesi, primo fra tutti quello delle prove di coraggio ed astuzia cui viene sottoposto l’eroe protagonista, le fiabe armene hanno una loro specificità e nel contempo abbracciano una gamma tematica molto vasta. “Lo spirito che aleggia nelle fiabe sembrerà talora molto diverso dall’una all’altra, così come erano diversi gli armeni montanari del Caucaso dai paesani delle valli di Cilicia.”4 Cerchiamo comunque di riassumere qui quali sono gli elementi ricorrenti in questo variegato mondo, frutto della fantasia popolare.

I protagonisti innanzi tutto, la maggior parte attinti dalla società contadina, in un mondo in cui i re e le regine hanno spesso ben poco di regale, mostrandosi spicci e ruvidi nei tratti e nell’eloquio. Gli animali umanizzati, presenti quasi in ogni vicenda, assumono il più delle volte caratteristiche diverse da quelle cui la tradizione occidentale ci ha abituati: ad esempio non necessariamente la volpe è scaltra e l’asino stolto. Non mancano poi le mucche-fate, agnelli neri benigni e tori parlanti. La natura assume un valore primario: si presenta come una grande madre saggia e benevola, e rispecchia così il viscerale ed ancestrale amore che gli armeni nutrono per la Terra, prodiga dispensatrice dei suoi frutti. C’è un breve racconto in cui un saggio dialoga con gli alberi che si mostrano alla fine più saggi di lui. Altre figure ricorrenti sono i dev, spiriti folletti, benigni o maligni, a seconda delle situazioni; le hurì invece, sono bellissime fanciulle dalla natura soprannaturale, creature dei boschi e delle acque, una sorta di ninfe, attinte dalla tradizione persiana; infine l’uccello di smeraldo, che possiamo associare all’uccello di fuoco che volteggia in tante fiabe russe.

Anche nella fiaba armena ricorrono caratteristiche formule di apertura e chiusura. La maggior parte delle narrazioni iniziano con “C’era e non c’era” – una vaghezza che incontriamo anche nel frequente “camminarono molto o poco”- e si chiudono con diverse espressioni augurali quali, ad esempio: “Il bene rimanga a noi e il male cada sul nemico!” Specchio invece dell’attaccamento ai frutti della terra, appare la simpatica chiosa finale: “Dal cielo cadano tre pomi: uno per chi ha narrato questa storia, uno per chi ha ascoltato e uno per il mondo intero.”

Per fornire un esempio di questo policromo patrimonio, riportiamo qui un brevissimo racconto, arguto e saggio.5

 

   IL SOLE

   Una volta, molto tempo fa, il Sole cominciò a darsi delle arie e a credersi un Dio. Era l’alba.

   Ma quando, al tramonto, scomparve dietro la Terra, si rese conto della sua vera natura.

 

Note:

  1. Il tonir è il tradizionale forno usato nelle zone rurali, consistente in un foro cilindrico praticato nel pavimento ed usato per la preparazione del pane e       di altri cibi in genere. In inverno era tenuto sempre acceso, essendo l’unica fonte di calore nelle abitazioni. Anche oggi viene usato in Armenia.
  2. Degli ashugh tratteremo più ampiamente nei capitoli dedicati alla letteratura e alla musica.
  3. Si veda: Leggende del popolo armeno a cura di Baykar Sivaziliyan e Scilla Abbiati, Arcana ed. Milano 1988.

Le mele dell’immortalità a cura di Sonia Orfalian, Ed. Guerini e Associati, Milano 2000.

Nazar il prode e altre fiabe armene di H.Tumanian, a cura di Anush Torunian, Sinnos Ed. Roma 2005.

  1. Cfr. Leggende del popolo armeno a cura di Baykar Sivazliyan e Scilla Abbiati, Arcana Ed. Milano 1988.
  2. Ibid. pag.149.

 

 



 

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